Lectio tenuta in occasione dell'avvio del programma "I Cammini" nella cattedrale di Matera il 16 ottobre 2018 (testo non rivisto dall'Autore)
Lectio tenuta in occasione dell'avvio del programma "I Cammini" nella cattedrale di Matera il 16 ottobre 2018 (testo non rivisto dall'Autore)
Bellissimo titolo. A partire dal concetto di nutrimento. Conosciamo tutti l’affermazione del materialista Feurbach: l’uomo è ciò che mangia, ciò di cui si nutre. Corretta e sbagliata al tempo stesso.
Cui fa eco un’affermazione analoga di Gesù: chi mangia di me, vivrà per me.
Il pane è santo perché mantiene la cosa più santa, la vita.
La bellezza è santa perché è pane che nutre la qualità della vita.
La prima domanda che nasce: noi di che cosa ci nutriamo? Di che cosa nutriamo anima e pensieri?
Stiamo mangiando generosità, bellezza, profondità, tenerezza?
O mangiamo avvelenato? stiamo nutrendoci di egoismi, intolleranze, miopie dello spirito, insensatezza del vivere, superficialità, paure?
Se accogliamo pensieri dai bassifondi del vivere, questi ci fanno come loro; se invece accogliamo pensieri di vangelo e di bellezza, essi ci fanno uomini e donne della bellezza. Il bello è uno strumento per la manutenzione del cuore e dei sensi.
La bellezza è un nome di Dio. San Francesco: Tu sei bellezza, tu sei bellezza. Sant’Agostino: tardi ti ho amato.
La bellezza non è un’idea, ma una esperienza. Non un concetto da elaborare, ma una energia da percepire e in cui entrare.
Come questa città di Matera e la sua trasfigurazione, esemplare rapida ed emozionante, in casa della bellezza. Che qui è diventata un bene comune, come l’acqua, aria suolo, clima. Non una idea ma una esperienza e in più condivisa.
E le ferite di un tempo sono diventate feritoie, da cui filtra luce.
Bellezza non era tra le parole preferite della mia mappa interiore. Altre mi parevano più capaci di fare la differenza. La bellezza mi sembrava una nuvola che scivolava via nel cielo. Come può essere così importante? A una nuvola non ci si aggrappa.
Da questa crisi odierna, in cui il passato è rimosso e il futuro è sentito come minaccia, non si esce se non per due vie: la bellezza e la tenerezza.
La via che papa Francesco chiama la rivoluzione della tenerezza, la combattiva tenerezza dei cristiani, di tutti quelli che sanno “prendersi cura”. E poi la via della bellezza, il nostro tema stasera.
La bellezza salverà il mondo, frase così abusata da risultare banale.
Ma domandiamoci: come realizza questa salvazione del mondo? La bellezza salva la vita regalando un’esperienza di benessere. In un luogo bello, che sia una città o un paesaggio, una persona o una bella musica, cominci a star bene, ti senti un frammento che appartiene ad un cosmo armonioso e ospitale. Da forze buone miracolosamente accolto.
Il primo dono della bellezza vera, sobria, non quella lussuosa e ostentata (il lusso non è bellezza): sentirti frammento ospitale dell’infinito.
In un luogo brutto, in un quartiere degradato sei invece a disagio, inquieto, demotivato, alle volte perfino aggressivo.
Il secondo dono che la bellezza offre è un senso di gioia: l’arte dona un piacere senza interessi dice il filosofo Kant; un piacere disinteressato: mi affaccio come ieri sera sui Sassi e sento nascere un sorriso; godo di un paesaggio senza nessun bisogno di possederlo. Non ho bisogno di appendere a un muro del mio salotto la Gioconda del Louvre per poterne godere, mi basta contemplarla.
E così con una cattedrale romanica di Puglia, o un tramonto sull’Egeo, o Matera.
Queste cose appartengono a chi le sa gustare e curare. Il mondo appartiene non a chi lo possiede, ma a chi lo gusta e lo rende migliore (B. Brecht).
Se vogliamo avere in futuro una generazione capace di vita spirituale e non solo consumatori, utenti di centri commerciali, dobbiamo trasmettere il senso della poesia, della bellezza, dell’armonia, dell’arte. Che è non-possesso, ma che è nutrimento del piacere di vivere.
La bellezza ci fa sentire che c’è “un di più” dentro le cose, è fessura aperta sul di più, sull’oltre, sul mistero, sull’infinito.
Chi non ha il senso del mistero è un uomo mezzo morto (A. Einstein).
Il profeta Isaia nel canto del Servo sofferente, scrive:
non ha bellezza per attirare i nostri sguardi
non splendore per potercene compiacere
Il profeta indirettamente traccia il meccanismo psicologico della bellezza: il lavoro che compie sull’uomo la bellezza è attirare, tirare a sé, creare vicinanza, partecipazione. La bellezza crea ogni comunione (Dionigi areopagita).
Non ha splendore che dia piacere. Il secondo lavoro è dare piacere, un gusto: la bellezza è una profezia di gioia.
Un’esperienza lieta, che non si limita al buono, al vero e al giusto, ma trasmette un godimento dell’essere, un piacere di vivere, perché «un divino cui non corrisponda un rigoglio dell’umano non merita che ad esso ci dedichiamo» (D. Bonhoeffer). […]
Mons Giancarlo Bregantini, già Vescovo di Locri, scrive nel suo libro “Non possiamo tacere. LE PAROLE E LA BELLEZZA PER VINCERE LA MAFIA” (2011):
“Arrivi in certi paesi della Calabria e della Sicilia e la prima cosa che noti è un disordine edilizio, una sporcizia per le strade, una trascuratezza delle spiagge, in contrasto tra la bellezza della natura, del cielo, dei segni antichi dell’arte, e l’incapacità degli uomini di preservare la bellezza dei luoghi.
E ti accorgi che i paesi più brutti, più sciatti, più disordinati sono quelli dove più forte è il potere della mafia. Come se la bruttezza rivelasse tragicamente quel desiderio di violazione che c’è nel cuore del mafioso. La trascuratezza diffusa diventa, dice mons. Bregantini, il primo punto su cui far leva per opporsi alla violenza.
Il primo impegno: fare la guerra al brutto. Farla al degrado, allo spappolamento dell’armonia sociale, al disagio diffuso, alla piccola criminalità, alla illegalità contrabbandata per astuzia, allo spaccio, alla mafia, alla volgarità nel tratto e nella parola.
Non solo dispiacersi per il brutto, ma lottare.
È una battaglia culturale, di lungo respiro, quindi. La guerra al brutto, al degrado, alla insensibilità è un fatto etico, non semplicemente estetico, è un fatto politico e civile.
La mancanza di gusto è un fatto morale. Il brutto è l’oggettivazione di un animo avido e meschino. Le città brutte nascono da élites politiche economiche sociali ignoranti o malvagie.
Virtù metropolitana, virtus latina come forza, è fare la guerra al brutto,
Virtù civica, forza che costruisce la polis, è coltivare bellezza, prenderci cura della bellezza della città, a partire dalle piccole cose, dalle cartacce a terra, dallo sporco, opporci alla trascuratezza, la cura delle cose pubbliche.
Un gruppo di cittadini che cura una aiuola per il benessere di tutti, tiene pulita una fontana, fa pressione sull’amministrazione perché si costituisca un parco. Questi sono uomini e donne di cultura che lavorano per il bene comune
Noi costruiamo le case e le città, ma poi le città costruiscono noi: se le città è una fungaia, senza luoghi di incontro, senza spazi di aggregazione, senza parchi ben tenuti, la convivenza sarà difficile.
In quartieri degradati la vita si degrada, si abbruttisce.
Se le nostre case sono brutte ci imbruttiscono. E forse perfino ci abbruttiscono
L’angolo della bellezza dovrebbe esserci in ogni casa, come nella Russia antica, dove era l’angolo bello, quello delle icone, dell’arte, della preghiera, della gratuità, del lume acceso.
LA BELLEZZA senza dubbio non fa le rivoluzioni. Ma viene il momento in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza (Albert Camus).
Per lottare e cambiare le cose che non vanno serve il coraggio, un grande cuore viene prima di tutto. Senza coraggio non può nascere un guerriero dentro di noi. Ma la forza del coraggio, quella che si oppone alla pigrizia, alla non-voglia, a quella mancanza di energia che non ci fa agire, alla rassegnazione, da dove può mai venire la forza?
La risposta di San Tommaso d’Aquino è questa: la svogliatezza del vivere, lui dice l’accidia, è sconfitta dalla contemplazione della bellezza del mondo.
Sorella Maria di Campello sul Clitunno scrive alle sue monache:
“Non mi stancherò mai di dirvi che considero un dovere sacro quello di uscire all’aperto e di contemplare la bellezza che ci attornia, e di salutare i luoghi amati, e tutte le creature….”
Il coraggio dalla bellezza ce lo trasmette la grandiosa enciclica Laudato si’. Leggo una citazione al n. 232
“Non tutti sono chiamati a lavorare in maniera diretta nella politica, ma fioriscono innumerevoli associazioni che intervengono in favore del bene comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano. Per esempio si preoccupano di un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza, gli argini di un fiume) per proteggere, risanare, migliorare qualcosa che è di tutti. Attorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si libera dalla indifferenza consumistica. Questo vuol dire anche coltivare una identità comune, una storia che si conserva e si trasmette. In tal modo ci si prende cura del mondo e della qualità della vita dei più poveri, con la solidarietà e la consapevolezza di abitare una casa comune che Dio ci ha affidato. Queste azioni comunitarie quando esprimono un amore senza interesse, possono trasformarsi in intense esperienze spirituali” (Laudato si’ 232).
L’amore per il bene comune ci spinge a pensare all’importanza di piccoli gesti quotidiani e a grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientale e incoraggino una cultura della cura che impregni la società.
L’amore per il bene comune incoraggia una cultura della cura. Senza un sentimento di cura verso qualcosa non si può neppure cominciare a parlare di etica! Anche nella casa, quando marito e moglie genitori e figli si garantiscono l’un l’altro: stai tranquillo, io mi prenderò cura della tua felicità.
Quando uno interviene insieme con gli altri in queste dinamiche deve ricordare che ciò fa parte della sua spiritualità, che in questo modo esercitando cura e amore, matura come uomo e si santifica (231).
Lo rileggo. La cura e la custodia della bellezza, in quanto bene e alimento comune, è cosa santa: esercitando cura e amore matura come uomo e si santifica. La cura del bello santifica! Grande papa Francesco!
La bellezza non è una nuvola che scivola via nel cielo, gradevole ma in fondo inutile. È una via del cuore.
Vediamo la radice etimologica della parola che è come risvegliarne il senso addormentato.
Estetica deriva dal verbo greco aisthánomai, che significa sento, percepisco, avverto; estetico significa quindi qualcosa che causa emozione e coinvolge; appassiona, causa gioia o dolore, tocca dentro e risveglia. Estetico indica quindi molto di più che il buon gusto, l’elegante, il carino. Letteralmente, il contrario di estetico non è il brutto, ma l’anestetico, l’insensibile, l’incapace di percepire emozione e dolore, l’ottundimento dei sensi, chi non sente niente, l’anaffettivo.
All’opposto dell’estetica si pone l’anestesia del vivere, l’atrofia dell’esistenza. Vita spenta e seduta. L’assenza di estetica, di bellezza, causa una anestesia del vivere che poi dà forma ad un rapporto con il sacro freddo e distaccato.
Turoldo: e i sensi sono divine tastiere
Pericolo, no, musica suonata da un misterioso pianista, che è Dio stesso seduto al mio pianoforte…
La vita cristiana non è etica, ma estetica (Hans Urs von Balthasar).
Si muove non per un insieme di leggi, ma per un insieme di e-mozioni, parola che contiene “movimento” , qualcosa che ti spinge fuori.
La vita non avanza per decreto, ma per la spinta degli affetti.
Il cuore non cammina per costrizione, ma per seduzione di tesori; per una passione che sgorga da una bellezza, Cristo: Dio mi seduce non con le sue leggi, non perché onnipotente, eterno, perfetto, per queste cose lo puoi anche obbedire, ma non amare; mi seduce con la bellezza almeno intravista del volto e della vita di Gesù, il più bello tra i figli dell’uomo.
Di questi tempi non basta più ricordare che le strade di Dio non sono le nostre strade…. i suoi pensieri…. Dobbiamo riscoprire la bellezza di Dio, proporre un Dio in forma attraente: che avvinca, leghi, muova, incanti la vita. Davanti all’indifferenza che ci circonda, non basta più dire che Dio è vero e buono, occorre mostrare che Dio è bello.
La forza che attrae l’uomo d’oggi non è più quella della costrizione logica della verità, non è più la forza della costrizione etica del bene, ma è la forza del vero e del buono quando sono diventati anche belli!
Bellezza è un nome di Dio, ma anche un nome del creato.
Per sei volte all’inizio Dio benedice, anzi grida, con meraviglia, quasi sorpreso dalla sua creazione e innamorato: Tov, che bello! Oti kalon, dirà la traduzione greca! E una settima volta, di fronte all’uomo e alla donna dirà: ma sono bellissimi! Dio legge il mondo con la categoria della bellezza.
Bellezza è la prima porta della conoscenza, la porta della realtà per la Bibbia !
A parte alcuni libri storici e legislativi, tutto ciò che è profezia, salmo, teofania, Cantico dei cantici, profeti, salmisti, sapienti, narratori di origini, parlano con un linguaggio della poesia e della metafora. Dalla prima teologia biblica, lo Spirito si librava (covava) sulle acque, all’ultima dell’apocalisse: vidi la nuova città bella come una sposa scendere dal cielo, da Dio.
Il linguaggio della poesia è la carne del linguaggio religioso. La Bibbia, se togli le metafore, resta un mucchietto d’ossa. Il salmo 49 dice così:
ascoltate o popoli tutti, nobili e straccioni, ascoltate: illuminato è il sussurro del mio cuore, una parabola in me è penetrata, sulla cetra vi spiego l’enigma
cerco di capire e di trasmettere il mistero, il cuore dell’essere, con l’arpa e la cetra, vale a dire con gli strumenti della musica e della poesia. Quante volte nei salmi l’arte, la poesia e l’immagine sorreggono la preghiera…
“come una cerva sospira alle fonti”…
l’anima mia ha sete di Dio,
la bellezza tua voglio cantare (salmo 8),
Svegliatevi arpa e cetra che io voglio svegliare l’aurora…
I salmi sono pieni di canto, musica, di arpe e cetre. Non c’è salmo in pratica senza il verbo ‘cantare’. Cantare: verbo della musica, della melodia, dell’arte, dell’emozione, che convoca anche il corpo e la storia… quando il dire non basta più, si moltiplica e acquista intensità e carica e splendore che esprime in modo appropriato il messaggio. Chi canta prega due volte….
Il salmista dice: racconto il mistero con la poesia e con il canto.
E adopera la cetra, strumento musicale, come strumento dell’esegesi di Dio, esegesi dell’esistenza.
La poesia e la musica intuiscono e trasmettono le cose che la rievocazione storica, il discorso morale o teologico, le elaborazioni concettuali, e neppure il grido d’angoscia riescono a svelare. Sulla cetra, con la musica e la poesia, vi spiego il mistero dell’esistenza. Per la Bibbia l’arte raggiunge il cuore del mistero.
Tutte le espressioni di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta a incontrarsi con il Signore Gesù (Evangelii Gaudium 167).
Ma il suo risultato non è quello di offrire spiegazioni. Il suo effetto proprio è quello di dare fascino e sorpresa ed emozione e un sentire battere il cuore dell’esistenza. La nostra capacità di gioia è direttamente proporzionale alla nostra capacità di meraviglia.
Meraviglia, terapia dell’esistenza!
Come per Maria: ha fatto in me cose meravigliose, ha fatto dei miei giorni un tempo di stupore, ha fatto della mia vita un luogo di prodigi…
Gregorio di Nissa: i concetti creano idoli, solo lo stupore coglie qualcosa…
La vita avanza non per ordini o divieti, ma per una passione. E la passione nasce da una bellezza.
Il salmo 49 dice che la lotta con Dio perché si riveli , la teologia, è fatta con la musica, è scritta anche dalla estetica.
Il lavoro della rivelazione si realizza in molteplici forme:
Un verso della poetessa greca Saffo:
la cosa più bella?
Chi dice un esercito di cavalieri
E chi di fanti,
chi di navi una flotta
presso la terra nera,
Io dico chi uno ama.
La cosa più bella del mondo è il tuo amato.
Il nómos originario, la legge, LA REGOLA primitiva della bellezza è nell’atto d’amore. L’atto d’amore è sempre bello. La bellezza non è la bella rappresentazione della realtà, ma la raffigurazione di una realtà bella, di un amore che è la cosa più bella del mondo. Il crocifisso coperto di sangue non è bello, ma è la figura di una realtà bella, la cifra della realtà più bella di Dio, di un amore fino all’estremo, fino a morirne. La realtà imbruttita (il corpo martoriato e piagato del crocifisso) può essere anche la forma più alta dello splendore del bello.
Bello è chi ti ama, bellissimo chi ti ama fino alla fine.
Con che cosa ci seduce Dio? Con l’onnipotenza, con l’onniscienza, con la sua eternità, con il giudizio che separa i buoni e i cattivi? No, ma per la bellezza di Cristo. La bellezza dell’atto d’amore. Suprema bellezza è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla croce, dove il Figlio di Dio infinitamente grande si è lasciato contenere nell’infinitamente piccolo, quel poco di legno e di ferro che bastava per morire. In quel Crocifisso, dice l’evangelista Giovanni, è la gloria stessa a rivelarsi. In quel corpo appeso nudo nel vento è superata la frattura fra bellezza e realtà. Lì l’arte, come arte divina d’amare, si offre alla contemplazione cosmica. La cosa più bella è sempre l’atto d’amore. La verità dell’essere splende in quell’immagine, immagine di un Crocifisso, non bella da attirare il nostro sguardo, ma rappresentazione dell’arte di amare di Dio, capacità di amare fino a imbruttirsi. La bellezza apparsa in quel Crocifisso rivela che bella è la persona che ama fino all’estremo!
Dio ci seduce anche con la bellezza della creazione in cui è custodita, in tutte le sue forme, la traccia della sua presenza, del suo ritrarsi, per lasciarci liberi.
«L’amore per la bellezza del creato è quasi l’unica via che permette a Dio di penetrare in noi. […] In tutto ciò che suscita in noi il sentimento puro e autentico del bello c’è presenza reale di Dio. […] La tendenza alla bellezza è la trappola più frequente di cui Dio si serve per aprire l’anima dell’uomo. La bellezza è l’esca del divino» (Simone Weil).
Un testo dell’induismo suggerisce:
«Dio pesa nella pietra, germina nella pianta, respira nell’animale, ama nell’uomo».
Ci seduce attraverso le forme della creazione artistica:
«Quando voi ascoltate Bach, vedete nascere Dio», ha affermato Émile Cioran.
La penitenza di Maurice Zundel: osservare il tramonto.
Chesterton: il mondo non finirà per mancanza di meraviglie, ma di meraviglia.
Allora il compito aiutati dalla bellezza è: Salvare lo stupore.
Vuol dire salvare la nostra capacità di essere felici.
Allenarci alla sorpresa e alla meraviglia.
Non è la vita che ritorna sempre uguale, siamo noi che non sappiamo riconoscere la sua varietà e la sua ricchezza e ci passiamo sopra senza vederla, senza sentirne il sapore tra i denti.
Troppo facile rimuovere l’invito a salvare lo stupore adducendo il grigiore della città e dei volti. Una cosa so: che ogni volta che mi chino a sorprendere germogli, ogni volta che mi succede di navigare per occhi di persone che amo, ogni volta che pianto un seme e spio il gonfiarsi della terra, esco con gli occhi che sorridono (Angelo Casati).
Sant’Agostino invita a guardare le cose e a lasciarsi meravigliare: «Guardare le creature era come interrogarle: la loro bellezza era la loro risposta».
Per vedere bene un prato occorre inginocchiarsi … (Ermanno Olmi)
Saper guardare è fare filosofia, interrogare le cose. Allo sguardo attento rinascono stupore e meraviglia; si accende la passione per la vita.
DECALOGO SULLA BELLEZZA
Dieci regole per apprezzare la bellezza.
Scrive il poeta francese Mallarmè:
“incontrare Dio non sarà come inginocchiarsi al trono di un imperatore, ma baciare tremando la bocca vergine dell’universo”.
Dio non è una idea, ma una esperienza di emozionante bellezza. E i sensi umani saranno divine tastiere, suonate da un pianista divino, che producono melodie d’altrove.
David Maria Turoldo ha un’immagine folgorante:
«un solo verso, / fessura sull’infinito come / il costato aperto di Cristo, anche / un solo verso può fare / più grande l’universo».
Il verso del poeta è fessura-profezia attraverso cui filtra l’infinito, attraverso cui intravedi un mondo più grande, più profondo, più bello. Il mondo è un cantiere aperto, la terra appartiene a chi ne intuisce la bellezza e se ne prende cura e la rende migliore (Bertolt Brecht).
Un detto tradizionale del Nord Africa: tu hai le mani belle.
Lo dicono a qualcuno che sa aiutare, toccare con amore il povero, prendersi cura delle creature. Che possano dire anche di noi: “stupende hai le mani”.
p. Ermes Ronchi
Matera, 16.10.2018